Il 5 settembre scorso stavo ultimando i preparativi per la 16° Giornata Europea della Cultura Ebraica che avrebbe avuto luogo l’'indomani, e per la quale tutto era stato accuratamente programmato: tre visite al cimitero ebraico guidate dagli studenti del Liceo Scientifico “Morandi”, una visita al ghetto, il pranzo tipico ebraico all'’”Osteria La Fefa”, l’incontro nella Biblioteca Comunale con la scrittrice Annie Sacerdoti.
Alle cinque del pomeriggio, quando si è scatenato un uragano e gli alberi davanti alla finestra del mio appartamento hanno cominciato a ondeggiare paurosamente, il mio pensiero è corso subito a quelli del nostro horto degli hebrei. Quali guai vi avrebbero provocato quel vento furioso e quella grandinata eccezionale, con chicchi grossi come palline da ping – pong?
La mia preoccupazione riguardava soprattutto le cinquantotto lapidi, che nel corso dell’estate i restauratori avevano ripulite e disinfestate dalle aggressioni fungine restituendo loro il candore del marmo, ma per rispetto dello shabbat mi astenni dall’entrare nel cimitero ebraico per una verifica della situazione. Lo feci di buon’ora la mattina successiva, prima dell'’inizio delle visite guidate, e con sollievo mi resi conto che – sebbene il nubifragio avesse spezzato le cime di alcuni alberi – le lapidi, appena sfiorate dai numerosi rami caduti, erano tutte integre. Pure il percorso delle visite non risultava compromesso, pertanto, travolta dal susseguirsi degli impegni, rimandai al giorno dopo una verifica più attenta, il cui esito risultò drammatico: molti erano gli alberi atterrati o spezzati dal nubifragio, ma ancor più erano quelli che una nuova bufera avrebbe potuto far precipitare sui visitatori o sulle lapidi.
Che fare dunque, per prevenire futuri danni e garantire la sicurezza del cimitero?
Decisi innanzitutto di chiuderlo e di riaprirlo solamente quando sarebbero stati rimossi gli alberi caduti, ed eliminati quelli che rappresentavano un pericolo. La cassa della nostra associazione però non consentiva un’operazione di tale portata, poiché il restauro di tutte le lapidi, che Raffaele Diegoli ed Elisabetta Belluti avevano portato avanti nel corso dell’estate, l’avevano svuotata.
In passato, quando del cimitero ebraico si occupava il Gruppo Culturale R6J6, avevamo più volte affrontato il problema di eliminare numerosi alberi di vita breve per sostituirli con piante secolari, ma a quell'’epoca disponevamo di fondi sufficienti per pagare le spese. Nel 1993, e successivamente nel 1995, avevamo fatto tagliare in tutto circa quaranta pioppi e alcuni salici per sostituirli con olmi, tigli ed aceri, spendendo poco più di otto milioni di lire; nel 2003 altri dieci pioppi erano stati eliminati (l’'operazione ci costò poco più di mille euro), quindi nell’' estate del 2012 fui costretta a far rimuovere numerosi alberi atterrati dal terremoto (la spesa fu di millecinquecento euro). In passato però c’'era al mio fianco Berto Ferraresi, al quale – sebbene sin dal 2004 egli avesse affidata a me sola la cura del cimitero – potevo sempre ricorrere per qualche consiglio o per un aiuto. Mi chiesi che cosa avrebbe fatto Berto se si fosse trovato nella situazione attuale, con il cimitero rimesso a nuovo grazie al restauro delle lapidi, ma non visitabile finché fossero state eliminate tutte le piante che compromettevano la sua sicurezza.
Credo che Berto non avrebbe esitato a prendere la decisione che presi io, dopo essermi consultata con l’'amico Guido Pianzi e aver avvisato la comunità ebraica di Modena e la nostra amministrazione comunale: poiché – avendo subìto nel corso di tre anni un terremoto, varie alluvioni e un nubifragio - noi gente della Bassa abbiamo appreso quanto sia importante che la riparazione dei danni momentanei sia accompagnata dalla prevenzione di quelli futuri.
E così il 29 settembre scorso è stato dato avvio alla rimozione delle piante cadute e all’abbattimento di trenta robinie assai vecchie, alte e appesantite dall’edera che le ricopriva quasi totalmente. In tre giorni di lavoro continuativo, quattro operai di una ditta emiliana hanno eliminate tutte le piante che minacciavano l’integrità dei visitatori e delle lapidi, restituendo al nostro horto degli hebrei la sicurezza necessaria per riaprirlo.
Il suo aspetto è totalmente cambiato, questo è vero: è cambiato a tal punto da renderlo irriconoscibile per chi lo ricorda come un parco ombreggiato da tanti alberi frondosi.
L’'ho contemplato ieri sera con una stretta al cuore, rimpiangendo quelle robinie alle quali si avvinghiava l’edera che gli conferiva un aspetto un po’ selvaggio, ma romantico. Gli ampi spazi che ora si sono aperti nel settore più antico suscitano un senso di vuoto e di incompletezza, poiché l'’eliminazione delle robinie, che erano cresciute spontaneamente accanto alle lapidi seicentesche, ha distrutto un’'armonia creata dalla natura: è come se si contemplasse un corpo dal quale sono stati amputati gli arti, e si avverte la violenza di un’'operazione che– oltre a sopprimere la vita degli alberi – ha privato della loro dimora numerosi uccelli, insetti e tanti altri animali.
Quegli ampi spazi però non rimarranno vuoti a lungo, poiché siamo intenzionati ad interrarvi in primavera nuove piante di piccole dimensioni, che con la loro fioritura rivestiranno di colore il nostro horto degli hebrei: speriamo che dei vivaisti e qualche anima buona ce ne regalino qualcuna, magari in occasione della riapertura del cimitero con la presentazione del restauro delle lapidi, programmata per domenica 18 ottobre alle ore 10.00.
Saranno presenti le autorità della Comunità Ebraica di Modena, del Comune di Finale Emilia e della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena (principale sponsor del restauro), e a seguito verrà effettuata una visita guidata
(si raccomanda di premunirsi per zanzare aggressive ed eventuale fango!)
Maria Pia Balboni per ALMA FINALIS