Nel Cinquecento Finale Emilia aveva l’aspetto di una piccola Venezia: il fiume Panaro ne solcava il centro cittadino e si ramificava in tre canali, rendendola un luogo incantevole da un punto di vista culturale ma soprattutto un centro commerciale di primaria importanza per l’economia del Ducato di Ferrara.
Questa conformazione richiamò una piccola compagine di ebrei che a poco a poco diedero vita a una comunità importante e numerosa; dal 1541 (data in cui il duca Ercole II d’Este concesse la prima condotta che comprendeva l’apertura di un banco feneratizio), per oltre quattrocento anni gli ebrei del Finale vissero e operarono attivamente, garantendo alla città ricchezza e benessere. Banchieri, mercanti di biade, venditori di generi di abbigliamento e strazzaroli (le occupazioni più diffuse) si susseguirono nel corso dei secoli, riuscendo – malgrado vari episodi di intolleranza e persecuzione nei loro confronti - a mantenere rapporti abbastanza pacifici con la comunità cristiana.
Per questi motivi, l’istituzione di un ghetto a Finale Emilia ebbe luogo soltanto nel 1736, cioè quasi un secolo dopo quello della vicina Modena; chiuso nel 1796 dai francesi di Napoleone Bonaparte, venne ripristinato nel 1814 con la Restaurazione e smantellato definitivamente nel 1859 con la caduta dell’ultimo duca estense.
La passeggiata nel ghetto permette di scoprire una parte del Finalvecchio poco trafficata, ma suggestiva; nelle sue strette viuzze, con uno sforzo dell’immaginazione, si possono ancora udire le voci dei bambini nei cortili interni, i canti nella Sinagoga, i profumi delle prelibatezze cucinate dalle donne.
I confini del ghetto sono la via Trento Trieste (dove anticamente scorreva il Panaro), la via Torre Portello e la via Ventura. La conformazione dell’area rese assai agevole la chiusura del ghetto, per la quale furono sufficienti due porticelle - una in Via Torre Portello accanto alla Torre dei Modenesi e una all’inizio del Portico del Ghetto -, un portone per i carri all’incrocio di Via Torre Portello con via Ventura, e quattro muri aggiuntivi.
Sotto al Portico del Ghetto, il cui soffitto è in parte decorato da pregevoli tempere di fine Ottocento, si affacciavano i negozi e poche abitazioni; in capo alla via Ventura è stata collocata nel 2019 una grande scultura, realizzata in India e donata dai Sikh, che rappresenta il generale Rubino Ventura e il maharaja Ranjit Singh, al cui servizio il generale (nato nella casa di fronte al monumento) mise la propria spada. Nell’odierna via Ventura si trovavano anticamente due sinagoghe, ma quando la popolazione ebraica aumentò, intorno al 1664 fu necessario costruirne una più ampia nella strada che da essa prese il nome di “via della Scola” (odierna via Morandi). A causa del ridotto numero di ebrei presenti nel primo Novecento al Finale, quest’ultima sinagoga venne chiusa nel 1923.
Durante la visita al ghetto sarà possibile entrare in qualche cortile interno e in un’abitazione che racchiude al suo interno una torre quattrocentesca di forma pentagonale, dove nella metà del Seicento viveva la famiglia Sarfatti, ebrei veneziani che nei pressi della torre avevano installato una fabbrica per produrre il bicloruro di mercurio. I fumi provenienti dalla fornace in cui si calcinava il vetriolo provocarono una denuncia che fece del Finale uno dei primi luoghi in cui venne trattata legalmente una questione di inquinamento atmosferico.